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La variabile del disgusto

8 agosto 2005
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Stephen Carr è il nome di un tizio che tempo fa, passeggiando in un bosco, s’imbattè nello spettacolo di due donne che facevano l’amore. Pensò di prenderle a fucilate, ammazzandone una e riducendo l’altra in fin di vita. Spiegò al giudice che il gesto gli era stato dettato dal sentimento di disgusto provocato dalla scena. La corte dovette prendere atto dell’argomento dell’imputato ed elaborare le sue riflessioni in proposito, anche se il disgusto del signor Carr è difficile da prendere in seria considerazione per chi abbia l’abitudine di fare zapping dopo le undici di sera, quando le televisioni private regalano ore e ore di sesso tra donne, a uso anche e soprattutto di maschi non proprio disgustati dall’amore saffico. La questione posta ai giudici, insomma, rimane: esiste o non esiste il diritto a evitare scene disgustose? A non essere sottoposti allo spettacolo di una situazione o di una condizione che ci può condizionare emotivamente fino a paralizzarci? Fino a che punto l’individuo deve farsi carico da solo della sua suscettibilità davanti a uno spettacolo che ritiene raccapricciante o intollerabile in un mondo imprevedibile e aperto alla diversità? 
Il disgusto riveste un ruolo sempre maggiore, man mano che si affacciano sulla scena politica soggetti che, considerati vergognosi ed esiliati dalla vita pubblica in passato, chiedono accettazione e rispetto. Esce per Carocci il 23 settembre il libro di Martha C. Nussbaum, Nascondere l’umanità – Il disgusto, la vergogna e la legge. Qui, in inglese, il testo dell’introduzione, dal quale ho tratto alcune delle cose che ho scritto qui sopra.

2 commenti leave one →
  1. 13 agosto 2005 11:36

    vorrà dire che la prossima volta che rimarrò disgustato da tutte quelle tette che si leccano tra loro super maggiorate nei programmi della tv della notte, prenderò a fucilate il televisore.

  2. 19 agosto 2005 17:04

    homo sum nihil humani a me alienum puto

    4 bocce che se le danno si santa raggione… uhmmm

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